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Il nostro Istituto
È un dono di Dio alla sua Chiesa e per la sua Chiesa, nato per un bisogno della Chiesa ed è parte viva di Essa. La Figlia di San Camillo, è un dono di Dio alla Chiesa, per la Chiesa, nella Chiesa, con la Chiesa.
Le suore delle Figlie di San Camillo, la cui casa generalizia si trova nella diocesi di Frascati, hanno come missione particolare nella Chiesa “testimoniare l’amore di Cristo misericordioso verso l’uomo infermo” mediante il ministero del servizio corporale e spirituale, esercitato anche con il rischio della vita, al quale si obbligano con voto speciale.
 “Siate dunque sempre meglio le vere e fervorose Figlie di San Camillo, il vostro solo nome racchiude tutto ciò che dovete fare e dovete essere dinanzi a Dio e dinanzi agli uomini” (Padre Luigi Tezza)
Si dilati il piccolo Istituto, onde abbia lunga vita e sia in tutti i tempi di consolazione alla santa Chiesa e di edificazione al prossimo” (Madre Giuseppina Vannini)

Precedenti storici

Già la bolla di approvazione dell’Ordine Camilliano, Illius qui pro gregis Dominici, del 21 settembre 1591, di papa Gregorio XIV, dava al Prefetto Generale la facoltà di aggregare all’Ordine persone o associazioni per il servizio della misericordia ai malati. Forti di questo privilegio, nel corso degli anni sono stati aggregati all’Ordine vari gruppi e persone, che però non hanno avuto un seguito. Nel secolo XVIII si erano associati gruppi di donne dedite all’assistenza degli infermi, poi estinti.

A Roma, Viterbo e Bologna e in alcune altre città, accanto alle comunità dei ministri degli infermi, erano fioriti gruppi di donne, pie unioni dedite all’assistenza degli infermi, secondo la proposta di San Camillo. Erano conosciute in genere col nome di Terziarie dell’Ordine di S. Camillo ed erano legate dal vincolo religioso di consacrazione privata, vivendo ognuna nella propria casa. 

 

La prima notizia risale al 1724 quando venne data licenza a padre Arena Francesco (1663-1743) di dare l’abito camilliano ad una giovane messinese che ne fece domanda. A Catania, nello stesso anno, una ragazza ricevette l’abito di terziaria. Certa è invece la notizia che il 13 dicembre 1740, a Bologna, riceve lo stesso abito Rosa Camilla Grimaldi (1709-1741), morta poi in concetto di santità. Se ne trovavano altre a Barcellona nel 1823, impegnate nell’assistenza ai contagiosi dove Madre Renata Maunoire si firmava Madre generale della Istituzione d’Infermiere e Congregazione della Provvidenza dell’Ordine di S. Camillo. Di lei purtroppo non si sa altro; probabilmente è stata travolta e dispersa dal furore della rivoluzione. Tutti questi gruppi femminili facevano riferimento alla Bolla Illius qui pro gregis Dominici di Papa Gregorio XIV.

 

Un’attenzione particolare merita la fondazione delle Sorelle Oblate Infermiere, nate dalla Beata Maria Domenica Brun Barbantini (1789-1868) che aveva organizzato il gruppo nella città di Lucca. Ella riuscì ad ottenere il riconoscimento come Congregazione di diritto diocesano il 5 agosto 1841 dall’Arcivescovo Domenico Stefanelli (1778-1852) ed il 27 gennaio 1842 l’aggregazione all’Ordine Camilliano.

Alla fine del 1800 determinate circostanze ed un insieme di situazioni socio-ambientali, fanno rinascere il bisogno di tale presenza. I fatti ci riportano alla provincia francese dell’Ordine,

il cui protagonista è il p. Luigi Tezza. Nel gennaio del 1888 il Decano della Facoltà di Medicina di Lille espone al p. Tezza il progetto di un ospedale di 200 posti letti e gli chiese se, per le donne, poteva disporre di Suore Camilliane.

 

In un primo momento, tramite il p. Gioacchino Ferrini , segretario generale dell’Ordine, si rivolge alle Ministre degli Infermi di Lucca chiedendo 4 suore, ma davanti a due tentativi falliti inizia a coltivare l’idea di fondare un istituto femminile con il carisma di S. Camillo.

Il Tezza fa un primo tentativo a Lille nel 1891, dove alcune giovani si erano messe a sua disposizione per dare inizio all’opera, ma il suo trasferimento in Italia a causa della sua elezione a primo Consultore, Procuratore e Vicario Generale e di conseguenza con l’obbligo di residenza Roma, ha dovuto abbandonare l’idea di fondare in Francia. 

 

Nonostante ciò non abbandona la sua impresa, anzi, la sottomette alla considerazione della Consulta Generale che gli conferisce plena facultas per il cosiddetto ripristino delle Terziarie Camilliane in Francia. Essendo il p. Luigi Tezza un camilliano imbevuto del carisma del suo Fondatore, Camillo de Lellis, e del suo Istituto, desiderava che questo spirito di carità si esprimesse a 360°, in tutte le sue forme, con tutte le sue sfumature.

 

La sua opera all’interno dell’Ordine ne è la dimostrazione più convincente: ha ripristinato il ruolo dei fratelli, voluti da San Camillo per l’assistenza agli ammalati e non per i servizi di casa, ha iniziato una feconda collaborazione con i laici, ha dato l’avvio alle prime opere in proprio nell’Ordine, il che costituisce una novità assoluta.

 

La fondazione della Congregazione delle Figlie di San Camillo, guardata in questa prospettiva, sembra una conseguenza naturale di queste manifestazioni che rappresentano l’attualizzazione e il rinnovamento del carisma camilliano. Come afferma uno dei biografi di p. Tezza: «Già San Camillo, invitando i suoi religiosi a servire i malati con cuore di madre, intuiva che la cura degli infermi deve fare appello a quelle qualità e atteggiamenti che sono tipici del genio femminile: la ricettività, la disponibilità, la tenerezza, la sensibilità nel cogliere le situazioni, l’attitudine a farsi carico dei problemi altrui, l’inclinazione ad offrire il proprio aiuto».

In qualche modo forse si potrebbe affermare che questa nuova fondazione è emersa dal desiderio del p. Tezza di un ritorno alle fonti, di un’adesione totale, fedele e creativa al pensiero del fondatore, San Camillo: assistenza diretta, con cuore di madre.

Come appunto abbiamo visto, il Tezza desiderava dare all’Ordine quelle dimensioni totali, cioè, che toccano tutti gli aspetti e tutti gli ambiti dell’assistenza agli infermi. In questo senso il titolo che il p. Brusco attribuisce alla sua biografia del Tezza L’amore non conosce confini, coglie pienamente l’essenza dell’opera tezziana.

L’inizio  ufficiale del nuovo Istituto (2 febbraio1892)

 

Con l’adesione della Vannini, l’ispirazione del p. Tezza diventa realtà. Tra il Tezza e la prima figlia di San Camillo,

s’instaura un legame spirituale ben comprensibile. Con Giuditta Vannini altre due aspiranti alla vita religiosa,

legate spiritualmente al Tezza,

attendevano di poter entrare a far parte del nuovo gruppo e dare così ad esso consistenza numerica.

 

Queste due giovani sono Vittoria Panetta, di Segni, ed Emanuela Eliseo, originaria di Bari.

Giuditta, pochi giorni dopo l’incontro con il p. Tezza, ha modo di conoscere le sue prime compagne.

Bisognava pensare ad un’abitazione in comune e dopo lunghe e non facili ricerche,

si trova una piccola abitazione in Via Merulana 141, molto vicino a Piazza S. Giovanni in Laterano,

che si prende in affitto da certo sig. Gasparoni.

 

Le tre giovani, lasciata la propria famiglia, si raccolgono insieme e prendono possesso della casa di Via Merulana lo stesso giorno,

15 gennaio 1892. Fin da questo giorno Vittoria Panetta ed Emanuela Eliseo riconoscono Giuditta Vannini quale Superiora della nascente comunità.

Si preoccupano subito di allestire la casa cercando di dare ad essa un aspetto di convento. La stanza più bella e grande viene riservata per essere Oratorio,

dove poter pregare insieme.

 

Il 2 febbraio 1892 nasceva ufficialmente la Congregazione delle Figlie di San Camillo con la cerimonia dell’affiliazione all’Ordine Camilliano delle aspiranti: Giuditta Vannini, Emanuela Eliseo, Vittorina Panetta. La notizia è data dal p. Tezza nel documento di consegna dello scapolare di S. Camillo scritto di proprio pugno, e con più chiarezza di particolari nel documento Mémoires: “Istruite sullo spirito della Congregazione e sull’osservanza delle Regole per alcune conferenze speciali del p. Tezza e animante dal più ardente desiderio di consacrarsi al servizio di N.S. colle opere proprie del nostro Istituto le tre giovani, la mattina del 2 febbraio 1892, si trovarono riunite per tempo nella camera del N. S. P. Camillo alla Maddalena per loro ammissione”.Il p. Giovanni Mattis, Superiore Generale dell’Ordine, desiderò compiere egli stesso la cerimonia.

Conferì lo Scapolare e la Croce rossa di S. Camillo, insieme al Diploma di affiliazione, alle tre aspiranti, indirizzando loro una paterna allocuzione di circostanza augurandosi di vederle “presto moltiplicare di tre a trenta, di trenta a trecento”. Celebrò in seguito la S. Messa e le tre aspiranti dopo aver pregato all’altare dove riposa il corpo di S. Camillo, fecero ritorno alla loro abitazione.

 

La fondazione della Congregazione delle Figlie di San Camillo non corrispondeva dunque al ripristino delle Terziarie Camilliane - anche se pure questo termine è equivoco - ma si trattava di un vero e proprio istituto religioso con la professione dei consigli evangelici e di un 4° voto di assistenza agli infermi anche con il rischio della vita. Come orientamento di fondo avevano le stesse Regole e Costituzioni dei Chierici Regolari dei Ministri degli Infermi, emanate nel 1848, nel generalato del p. Luigi Togni.

 

L’apostolato delle Figlie di San Camillo nella Città Eterna

 

Nella città dei papi una riforma nosocomiale era in atto dalla prima metà di quel secolo.

Gli istituti ospedalieri avevano subito, infatti, un primo e secondo riordinamento a opera di Leone XII (1823-1829)

e di Pio VIII (1829-1830). Anima della riforma era stato mons. Giuseppe Sala (1762-1839),

segretario della Congregazione del Concilio e cardinale nel settembre 1831.

Nel suo Piano di riforma (1814) – il quale prevedeva la riunione di tutti gli ospedali di Roma

sotto un’unica presidenza - il Sala aveva anzitutto denunciato gli abusi, quali: le negligenze dei medici,

le visite affrettate, le molteplicità degli impegni extraospedalieri assunti dai sanitari,

le nomine ottenute per favoritismo, le manchevolezze dei preposti alla direzione e

amministrazione degli addetti all’assistenza diretta dei ricoverati. Ma il piano messo a punto dal Sala avrà valore e consistenza definitiva soltanto nel 1850, sotto il pontificato di Pio IX (1846-1878).Nel 1834 il Sala aveva chiesto ai Camilliani di assumere la cura spirituale delle ammalate nell’ospedale di San Giovanni in Laterano.

Il 31 ottobre 1836 i figli di San Camillo assumevano l’assistenza spirituale nell’arcispedale. Nella ispirazione del Tezza convergevano, oltre gli elementi generali della situazione ospedaliera in evoluzione, anche gli impulsi acceleratori della motivazione camilliana promossa nella provincia lombardo-veneta che esigeva oltre la vita comune perfetta, l’esercizio del completo ministero camilliano di assistenza agli infermi.

 

 

La neocostituita comunità, ha iniziato la propria preparazione non solo dal punto di vista spirituale ma anche dal punto di vista apostolico con le prime esperienze nel campo del carisma camilliano.

L’8 febbraio le tre aspiranti iniziarono ad assistere le inferme a domicilio giorno e notte e il 17 febbraio veniva ospitata nella loro casa l’inferma Loreta Morelli.

La Vannini annota nella Cronaca: “Oggi abbiamo ricevuto a pensione una vecchia ottuagenaria, la quale desiderava ritirarsi in casa religiosa, onde finire i suoi giorni nella pace del Signore”. Il lavoro delle Figlie di San Camillo assumeva un ritmo incalzante. Dal maggio al dicembre del 1892 furono ricoverate, in casa, tre inferme, nel 1893 dodici, nel 1894 otto e, fino al maggio 1895, cinque; la prima ricoverata, Loretta Morelli, fu anche la prima defunta nella casa delle Figlie di San Camillo, «assistita giorno e notte»; morì il 30 marzo 1894. L’assistenza alle altre non era meno assidua; pochi mesi dopo, infatti, il 17 ottobre, moriva «in casa» assistita giorno e notte la signorina Francesca Ferelli . Qualche ricoverata chiese di entrare in comunità; tali le signorine Angela Carlini e Anna Tagliaferri.

Notevole, inoltre, il numero delle assistenze prestate alle inferme nelle case private: dal maggio al dicembre 1892, sessantadue, nel 1893, ottocentosettantasette; nel 1894, cinquecentonovantadue; fino al maggio 1895, centonovantotto.

Il settimanale romano La Vera Roma in data 24 settembre 1893 pubblicherà in quarta parte lo stelloncino:

 

«Vera carità – Le Suore camilline di Via Giusti assistono con amorosa cura gli infermi, in questi ultimi giorni han dato esempio di vera abnegazione rimanendo per oltre due mesi presso il letto della figlia di Luigi Pampani, malata di tifoidea, alla quale prodigarono le più assidue cure e rimasero dì e notte vicino all’inferma che sarà loro eternamente grata per così caritatevole assistenza».

 

 

Le Figlie di San Camillo e l’assistenza agli infermi

Con maggior spazio, dedicherà alle Camilliane un intero articolo il quotidiano di Roma La Voce, in data 25 aprile 1894, in seconda pagina:

Mentre da altri si studia il laicizzamento dell’assistenza a li infermi negli ospedali, v’ha chi a ragione esalta le benemerite Suore che si dedicano ad assistere i malati. A tal proposito ci giunge opportunamente la seguente, che di buon grado pubblichiamo:

Ill.mo sig. direttore de La Voce,

una gemma preziosa, uno spettacolo sublime si viene manifestando in mezzo di questo secolo venale ed affarista ed è l’istituzione delle Figlie di San Camillo De Lellis, che ad imitazione del loro santo patriarca vanno ad assistere le inferme affette da qualsiasi malattia, senza retribuzione di sorta, ricusando di ricevere nelle case delle malate anche un sorso d’acqua. Più volte incontrandomi con questi angeli di carità presso il letto di qualche inferma, nel più crudo del verno, fui colpito da ammirazione, non solo per l’amabilità con cui assistono le inferme, ma, più d’ogni altro, allorquando vedendo offrir loro una bibita di caffè per rifocillarsi e riscaldarsi dall’asprezza del freddo, osservai sempre al gentile ringraziamento unita la risposta, di non poter nulla ricevere nello assistere le inferme. Nobilissima riposta che a caratteri d’oro dovrebbero registrarsi nei fasti della chiesa, per dimostrare agli increduli a quale sublime carità ed a quale eroico sacrificio vengono informati i cuori dei suoi seguaci. Io mi auguro che le figlie di S. Camillo, eroine di abnegazione, dall’umile dimora di via Giusti n. 15, dove al presente si trovano, possano dilatare per tutto il mondo, affine di apportare all’umanità sofferente il balsamo del conforto e della rassegnazione che solamente trova la sua fonte dai cuori distaccati dalle ricchezze terrene e solo desiderosi di arricchire il cielo di anime. Un assiduo».

 

Le suore comunque vivevano in affitto anche se con tale cifra sarebbe stato possibile acquistare una casa propria, ma ad ogni modo era meglio essere prudente: «Se il Signore ci favorisse di un governo migliore e propenso per comunità religiose, si potrebbe con detta somma avere casa di proprietà, mentre per prudenza ce ne dobbiamo astenere onde non perdere tutto» .

 

Ma quale era la preparazione infermieristica delle Figlie di San Camillo? 


Le fonti non ci riferiscono nulla al riguardo però da un’attenta analisi di esse, calate nel contesto socio-sanitario della capitale si possono dedurre alcune conclusioni. 
Come afferma la Bartoloni «la Chiesa, che fin dal suo costituirsi era stata all’origine di tutte le istituzioni caritative-assistenziali e a un ruolo storico centrale in quest’ambito si era più volte richiamata, non aveva tenuto nel giusto conto il processo di modernizzazione in atto negli ospedali e nell’assistenza ai malati che richiedeva, tra l’altro, un’adeguata preparazione infermieristica» . 
Ed è appunto per rispondere a questa carenza, nonché per contrastare al sempre più crescente processo di laicizzazione dell’assistenza, che nel 1906 Pio X appoggia il progetto di una scuola per la formazione di infermiere sia laiche che religiose. Il 12 marzo 1906 viene inaugurato a Roma l’Ambulatorio-scuola S. Giuseppe ed il 14 marzo le prime diciotto allieve iniziano il loro ciclo formativo della durata di 3 mesi, sono 7 laiche e 11 religiose e tra di esse due Figlie di San Camillo: Sr. Camilla Sommacampagna  della Casa di Roma e suor Giovanna Pedon  della casa di noviziato, di Rieti.

A queste seguiranno altre gruppi di religiose che si prepareranno a prestare il loro servizio ai malati non solo con carità ma anche con competenza. 

 

[...] L’anno successivo altre suore appena diplomate si recarono dal papa che stavolta espresse il suo compiacimento: «Io non solo mi congratulo con voi, ma vi ringrazio d’avere così consolato il mio cuore, coll’aderire in sì buon numero al mio desiderio d’istruirvi nei vostri doveri d’infermiere. Abbiamo bisogno di buone infermiere presso i malati negli ospedali e non di serve come sono tenute tante povere religiose» . 
Da quanto risulta dalla Cronaca della casa Madre, anche per gli anni successivi le figlie di San Camillo continuarono a frequentare la scuola s. Giuseppe e ogni anno, alla conclusione del corso, il Santo Padre riservava alle neodiplomate una speciale udienza.

 

Fonte: 

Dalla tesi di Licenza di Sr. Bernadete Rossoni, La Fondazione della Congregazione delle Figlie di San Camillo. Dalla nascita al primo riconoscimento (1892-1909), PUL, Roma 2009

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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